ll prodotto che dalla metà degli anni Quaranta del Novecento avrebbe rivoluzionato le strategie di lotta malarica, il D.D.T. (dicloro-difenil-tricloroetano), esisteva già da molti anni. Sintetizzato nel 1874 dal chimico tedesco O. Ziegler, la sua efficacia insetticida era rimasta sconosciuta fino al 1939, anno in cui venne scoperta dallo svizzero Paul Hermann Muller alla ricerca di un prodotto da usare contro i pidocchi. L’insetticida, inizialmente diffuso dalla ditta farmaceutica Geigy con il nome di Gerasol o Neocid per uso agricolo, fu sperimentato dagli Americani su diversi insetti, comprese le zanzare, nel 1942. Tre caratteristiche rendevano il prodotto particolarmente interessante per la lotta contro l’anofele: la lunga persistenza, l’elevata tossicità per gli insetti associata ad una relativa innocuità per l’uomo, la non volatilità, per cui non presenta un effetto repellente e quindi il contatto dell’insetto con la superficie trattata viene facilitato. Grazie a tali proprietà la malaria sarebbe stata sconfitta in Italia e in molti altri paesi, soprattutto delle zone temperate. La storia del DDT presenta però molte ombre. Il suo vasto uso in agricoltura, la stabilità della molecola e la tendenza dell’insetticida a depositarsi negli organi ricchi di tessuti grassi, hanno provocato nel tempo una vasta contaminazione ambientale e l’accumulo del prodotto nei tessuti di molti animali, compreso l’uomo. Il principale problema è causato dalla facilità con cui l’insetticida viene trasmesso da un organismo all’altro attraverso le reti alimentari, raggiungendo una diffusione estremamente più vasta dell’originario ambiente di applicazione e alte concentrazioni in alcuni animali quali i rapaci. Nel 1950 la Food and Drug Administration avrebbe dichiarato che “…con tutta probabilità i rischi potenziali del DDT erano stati sottovalutati…” e, all’inizio degli anni ‘70, l’insetticida sarebbe stato proibito negli Stati Uniti e successivamente, nel 1978, in Italia.
Contributed by
Daniela Tazzi