Rarefazioni e parole in libertà, Milano, Edizioni Futuriste di “Poesia”, 1915, 32 x 24,5 cm. Brossura editoriale; pp. 49, (7).
Volume interamente illustrato con tavole parolibere e disegni dell’autore. Qualche lieve brunitura ai margini della copertina; qualche sporadica traccia d’uso (macchioline rare e leggere), ma esemplare ben conservato, privo di restauri. Edizione originale.
In Rarefazioni Govoni, pur ricollegandosi al Futurismo, si differenzia per la maniera inconfondibile del tratto e del segno. Se quello di Marinetti e dei seguaci futuristi è uno stile scattante, aggressivo e dinamico, quello di Govoni è invece un disegno infantile accompagnato da una scrittura altrettanto infantile, che fanno parte della sua formazione crepuscolare. Il termine “rarefazioni”, che compare nel titolo della raccolta, costituisce la spia indicativa di una poetica ancora attenta alla staticità di atmosfere sospese e un po’ evanescenti. Si tratta di una poesia visiva, ciò vuol dire che è costituita da disegni e da didascalie associate a ciascun disegno. Il testo non avrebbe alcun senso senza la parte raffigurata e viceversa; Govoni fa uso di punti tipografici differenti, elimina i verbi, la punteggiatura, le congiunzioni e dispone il testo e le raffigurazioni in modo totalmente libero. I disegni di oggetti domestici e familiari offrono all’autore lo spunto per didascalie, che, interpretando i particolari in senso analogico, ne offrono anche una visione ironica o degradante. Fra i testi più celebri della raccolta vi è senz’altro “Il palombaro”, in cui la figura centrale della composizione è il palombaro, arricchito di aggettivi ben definiti: dapprima sono buoni (spauracchio, burattino, acrobata profondo) e poi diventano ostili (becchino mascherato, assassino ermetico, boia sottomarino). Dalla radice etimologica stessa della parola si può dedurre qualcosa: palombarius, lo sparviero (= uccello rapace). Il palombaro e lo sparviero sono accomunati dall’immagine di chi si precipita o s’immerge per raggiungere la preda. È uno spauracchio perché è fonte di terrore assiduo e sempre incombente; è uomo pneumatico perché lo scafandro del palombaro è colmo d’aria; assassino ermetico perché lo stesso è chiuso ermeticamente; è boia sottomarino perché con un’accetta sembra un boia! Ma è davvero così? “Il Palombaro” allude ad altro: non è esclusivamente un uomo in mezzo ad un oceano limitato da creature marine viventi. È ben altro. “Il Palombaro” è come la poesia stessa: egli rappresenta tutta la produzione letteraria delle parolibere, che minacciosamente si immergono nel panorama letterario mondiale. Queste rinnegano tutta la produzione poetica antecedente, da Omero a D’Annunzio. Con le “tavole parolibere” si pensa di portare progresso attraverso la consapevolezza che la poesia in versi non abbia più alcuna utilità (pneumatico, cioè cosciente di se stesso, del suo obiettivo). Questo “uomo pneumatico” è visto da tutto il campo poetico come un assassino (perché fa massacro di tutta la letteratura precedente), ermetico (perché è denso di espressioni analogiche e simboliche, non sempre di facile interpretazione, quindi enigmatico, strano, alieno).
Contributo di
Juan Pablo Macías