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Alfred Steiglitz
19 settembre 1923

come sono arrivato a fotografare le nuvole

L’estate scorsa, quando furono inviati i manoscritti dei vari collaboratori per il numero della pubblicazione « M.S.S. » dedicato alla fotografia e al suo significato estetico, Waldo Frank - una delle giovani luci letterarie d’America, autore di Our America, ecc - scrisse che credeva che il potere segreto della mia fotografia fosse dovuto al potere di ipnosi che avevo sui miei fotografi, ecc.

Sono rimasto stupito quando ho letto la dichiarazione. Mi chiesi cosa avesse da dire sulle scene di strada, gli alberi, gli interni e altri soggetti, le cui fotografie aveva tanto ammirato: o se pensava che anch’essi fossero dovuti ai miei poteri d’ipnosi. Certamente un’affermazione lassista da parte di uno che si professava profondo e onesto, e interessato a illuminare.

Accadde che la stessa mattina in cui lessi questo contributo mio cognato (avvocato e musicista) mi annunciò a chiare lettere che non riusciva a capire come uno che si supponeva musicale come me potesse aver rinunciato completamente a suonare il pianoforte. L’ho guardato e ho sorriso - e ho pensato: neanche lui sembra capire. Lui suona il violino. Il violino non occupa spazio: il pianoforte sì. Il pianoforte deve essere curato da un professionista, ecc. Semplicemente non potevo permettermi un pianoforte, anche quando ero apparentemente ricco. Non era solo una questione di soldi.

Trentacinque o più anni fa ho trascorso alcuni giorni a Murren (Svizzera), e stavo facendo esperimenti con le lastre ortografiche. Le nuvole e la loro relazione con il resto del mondo, e le nuvole per se stesse, mi interessavano, e le nuvole che erano difficili da fotografare - quasi impossibili. Da allora le nuvole sono sempre state nella mia mente, in modo più potente a volte, e ho sempre saputo che avrei dato seguito all’esperimento fatto più di 35 anni fa. Ho sempre guardato le nuvole. Le ho studiate. Avevo opportunità insolite quassù, su questa collina. Quello che aveva detto Frank mi infastidiva: anche quello che diceva mio cognato mi infastidiva. Ero nel bel mezzo della mia estate di fotografia, cercando di aggiungere alla mia conoscenza, al lavoro che avevo fatto. Sempre in evoluzione, sempre più in profondità nella vita, nella fotografia.

Mia madre stava morendo. Il nostro patrimonio stava andando in pezzi. Il vecchio cavallo di 37 anni veniva tenuto in vita dal cocchiere di 70 anni. Io, pieno del sentimento di oggi: intorno a me la disintegrazione, lenta ma sicura: i castagni morenti - tutti i castagni in questo paese stanno morendo da anni: i pini condannati anch’essi - malati: Io, povero, ma al lavoro: il mondo in un gran casino: l’essere umano un animale strano - non dignitoso come il nostro castagno gigante sulla collina.

Così ho deciso che avrei risposto al signor Frank e a mio cognato. Avrei finalmente fatto qualcosa che avevo in mente da anni. Avrei fatto una serie di quadri di nuvole. Raccontai le mie idee alla signorina O’Keeffe. Volevo fotografare le nuvole per scoprire ciò che avevo imparato in 40 anni sulla fotografia. Attraverso le nuvole per mettere giù la mia filosofia di vita - per mostrare che le mie fotografie non erano dovute al soggetto - non a speciali alberi, o volti, o interni, a speciali privilegi - le nuvole erano lì per tutti - nessuna tassa ancora su di loro-.

Così ho cominciato a lavorare con le nuvole - ed è stata una grande emozione - ogni giorno per settimane. Ogni volta che mi sviluppavo ero così agitato, sempre credendo di aver quasi ottenuto ciò che cercavo, ma non ci ero riuscito. Una sequenza di giorni e settimane molto allettante. Sapevo esattamente cosa stavo cercando. Avevo detto a Miss O’Keeffe che volevo una serie di fotografie che quando fossero state viste da Ernest Bloch (il grande compositore) avrebbe esclamato: Musica! Musica! Amico, questa sì che è musica! Come hai fatto? E indicava i violini, i flauti, gli oboi e gli ottoni, pieno di entusiasmo, e diceva che avrebbe dovuto scrivere una sinfonia chiamata « Nuvole ». Non come quella di Debussy ma molto, molto di più.

E quando finalmente feci stampare la mia serie di dieci fotografie, e Bloch le vide, accadde veramente quello che avevo detto di volere.

Fotografie dritte, tutte su carta a gaslight, tranne un palladiotipo. Tutto nel potere di ogni fotografo di tutti i tempi, ed ero soddisfatto di aver imparato qualcosa durante i 40 anni. Quest’anno sono 40 anni che ho iniziato a Berlino con Vogel.

Ora se le serie di nuvole sono dovute ai miei poteri di ipnosi mi dichiaro « colpevole ». Solo alcuni « fotografi pittorici » quando sono venuti alla mostra sembravano totalmente ciechi alle immagini delle nuvole. Le mie fotografie sembrano fotografie e quindi ai loro occhi non possono essere arte. Come se avessero la minima idea dell’arte o della fotografia o di qualsiasi idea della vita. Il mio scopo è sempre più quello di fare in modo che le mie fotografie assomiglino tanto alle fotografie che, a meno che uno non abbia occhi e veda, non saranno viste - e comunque tutti non le dimenticheranno mai dopo averle guardate una volta. Mi chiedo se sia chiaro.


Alfred Steiglitz, The Amateur Photographer & Photography, Vol. 56, No. 1819, p. 255, 1923.