un’introduzione. un anno dopo « arte magia e capitalismo »
Lo scorso anno, durante arte magia e capitalismo si è discusso del rapporto tra creazione e finanziarizzazione che vorrei riprendere facendo prima alcune considerazioni su ciò che credo essere l’essenza umana, o meglio un’essenza naturale un po’ dimenticata. Qualcosa che ha a che fare con la materia e con le forme con cui ci relazioniamo ad essa. Una relazione che è sia estetica che poetica, che implica desiderio e un ciclo vitale che non distingue specie, però afferma la sua interconnessione, il suo mutualismo, la sua semiosi, il suo respiro reciproco.
È come se in questa articolazione tra percezione e poiesis - o creazione - il potere distribuisse se stesso stabilendo una percezione passiva, un lavoro alienato e, di nuovo, un consumo passivo che non concepisce altro che il suo ciclo capitalistico, la sua separazione e la sua alienazione dal processo creativo, un’integrità striata e sclerotizzata.
Vorrei riportare quello che aleggia nell’aria in queste pagine, condividendo come intendo la creazione affiancandola alle considerazioni di Pierre-Joseph Proudhon sulla società.
Penso che gli scritti di Proudhon siano il risultato di un’osservazione delle due principali operazioni delle nostre relazioni ontiche:
- l’atto creativo, la creazione che non è umana
- il mutualismo, una relazione nella quale ogni creatura coinvolta ottiene benefici netti e, ancora una volta, non umana
Credo che tutti gli sforzi di Proudhon, sia scritti che orali, concepivano una società che era allo stesso tempo fondamentalmente estetica e poetica. Proudhon stava praticamente rispondendo a se stesso, rispetto alla definizione profonda della natura dell’atto creativo quando diceva che to create is to do something out of nothing (creare è fare qualcosa a partire dal niente)
e questo ha la forma della poiesis
ogni creatura in questo mondo replica la Creazione in questo modo
non è umana
La sua seconda considerazione, anche se non formulata con queste parole, è che l’organizzazione sociale del potere collettivo dovrebbe avere a che fare con la sola amministrazione dei prodotti della creazione. Un’amministrazione, se fatta secondo la pratica collettiva e decentrata della giustizia, non avrebbe bisogno di nessun governo. Il governo deve essere ridotto a una mera amministrazione federativa dei prodotti della creazione. Da qui deriva che il governo migliore è quello che governa il meno possibile.
Credo che questi 150 anni di antagonismo si siano, in un certo senso, astratti spingendo la materia verso l’oblio. Il marxismo e quasi tutta la teoria, hanno creato un sistema che cancella ogni molteplicità, evento e virtualità che non rispecchia il suo proprio sistema retorico, proprio come fa il capitalismo. È solo in grado di vedere, o di leggere, la sua propria inabilità all’azione.
Ma ancora una volta, cosa è la materia se non questo continuum amorfo, questa sostanza, questo cosmo di cui facciamo parte? A cosa è dovuta questa separazione dell’umano dal resto delle specie e materia in generale ? Cosa ci tiene insieme come un tutto e che non riconosciamo?
Non credo nelle loro divinità, ma credo nello sforzo della coscienza di disumanizzare la nostra nozione di Dio, nel percepire la sostanza, nozione che Baruch Spinoza chiamerebbe Dio - come qualcosa di completamente non umano. Dal punto di vista umano, nel definire Dio, o sostanza o energia universale, Spinoza ha scritto che è infinito negli attributi, e come esseri umani, finiti, non possiamo che percepire due qualità: l’attributo del pensiero e l’attributo dell’estensione.
Come esseri umani, noi partecipiamo a questi due attributi che definiscono le nostre essenze e le nostre modalità. Partecipiamo al pensiero e all’estensione. E per un errore di percezione, noi le abbiamo attribuite come proprietà nostre.
Così quando Proudhon afferma che creare è fare qualcosa a partire dal niente, circoscrive le capacità estetiche e poetiche in un quadro umano, della società e del suo funzionamento, non dice che questo niente sia vuoto o inesistente, ma che sia piuttosto una creazione non umana che è già lì, che ci sostiene, che ci fornisce e che non può essere appropriata.
In Messico, nelle comunità indigene ho visto la ferma convinzione o l’imperativo morale che la materia, una volta trasformata, necessita di essere condivisa. Non perdono di vista l’origine della materia, della realtà delle sue circostanze, né la giusta socializzazione del prodotto trasformato, il cui proprietario finale è e non può che essere la comunità. Una comunità che è il prodotto di un mutualismo interspecie, di una combinazione in divenire, in cui tutte le specie ottengono benefici netti, e che non mirano all’accumulo.
Penso che qui si riconoscano i processi di produzione, distribuzione e consumo di Deleuze e Guattari come desiderio, come la natura stessa. Di uomo e natura in una catena vitale di assemblaggi, di divenire.
Così solo per ricordarlo:
« L’europeizzazione non costituisce un divenire del capitalismo, ma soltanto la sua storia che impedisce il divenire dei popoli assoggettati. L’arte e la filosofia convergono su questo punto: la costituzione di una terra e di un popolo che mancano come correlato della creazione. » (Deleuze e Guattari)
Penso, quindi, che questa mancanza sia dovuta a un’interruzione della virtualità della creazione da parte del capitalismo. Una separazione realizzata relegando e regolando la creazione attraverso l’Arte, isolando il lavoro in se stesso, lavoro per il lavoro, e credere nel denaro, non solo come una cosa reale e relazionale, ma come sola misura delle cose. Dovremmo abolire l’arte e il denaro per liberare la creazione e la forza collettiva, e ripristinare il mutualismo, la forza di condivisione che crea la moltiplicità della natura - una spontaneità vivente e, ancora una volta, non umana.
Abbiamo mutilato e tradotto ogni cosa in termini di economicismo. Leggiamo le parole d’ordine, contiamo i numeri, riconosciamo le loro immagini, le loro dualità, ma non possiamo più sentire né percepire la molteplicità della natura (multifariousness of nature) di Peirce, la molteplicità di Deleuze, neppure la sostanza di Spinoza. In breve, di quello, che non può essere appropriato.
Tuttavia la storia del capitalismo ha surrogato la creazione e ha continuato ad appropriarsi non solo della terra, ma anche dell’aria.
Allora l’aria sarà il tema di questo nuovo incontro, di questa conversazione, di questa pubblicazione…
Si potrebbe dedurre che il pensiero e l’estensione - che nelle concezioni di Spinoza sono attributi divini e paralleli che non si toccano - sono in relazione attraverso un terzo elemento che è il respiro cosmico e le forze che lo conformano, in breve, attraverso il segno arioso che unisce il pensiero all’estensione e che ci fissa in ogni momento.