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Juan Pablo Macías
12 settembre 2019

arte magia e capitalismo 2019

arte magia e capitalismo - 14 settembre 2019
arte magia e capitalismo - 26 ottobre 2019

[Testo scritto nel 2019, in occasione della I edizione di arte magia e capitalismo un programma di incontri, esposizioni, performance e screening dedicati al rapporto tra arte e capitale.

Organizzato da Carico Massimo

Con la partecipazione di:

Katia Anguelova, Zbyněk Baladrán, Federico Cavallini, Federica Giardino, Marlene Hausegger, Maurizio Lazzarto, Jiří Kovanda, Juan Pablo Macías , Alessandra Poggianti, Massimo Ricciardo, Pedro G. Romero, Iacopo Seri, Hans Schabus, Angelika Stepken, Andrea Wiarda, Vermeir & Heiremans, Hannes Zebedin.]

« L’europeizzazione non costituisce un divenire del capitalismo ma soltanto la sua storia, che impedisce il divenire dei popoli assoggettati. L’arte e la filosofia convergono su questo punto: la costituzione di una terra e di un popolo che mancano come correlato della creazione. »1

In arte magia e capitalismo vorremmo sentir parlare, al di là di ogni pregiudizio, dei concetti di economia, capitale ed arte, in modo da poter ampliare la nostra comprensione della cultura materiale e spostarsi oltre i vincoli ideologici del nostro attuale sistema economico.

Quello tra arte e capitalismo è un rapporto problematico se prendiamo in considerazione l’ethos generalmente adottato dalle visioni del mondo dell’artista, che sono allo stesso tempo soggette al mercato. Abbiamo visto esempi di arte e lavoro che negoziano con il loro sovrappiù in molti modi, proclamando la libertà, concependo possibili futuri e nuove relazioni.

Ci piace pensare a Salvator Rosa, artista napoletano del diciassettesimo secolo che rifiutò qualsiasi tipo di commissione, e a Gustave Courbet, che iniziò a creare ignorando convenzioni, canoni o patroni,2 come due figure chiave, almeno per la nostra genealogia, di una pratica artistica autonoma dai modi di produzione istituzionali e mercificati. Questi esempi non sono gli unici, né rispecchiano totalmente il rapporto problematico tra creazione e mecenati/proprietà privata.

Normalmente diamo per scontato il rapporto stretto e contorto che arte e lavoro hanno avuto con il capitale. Inoltre, stiamo parliamo in un’epoca in cui il mercato governa il paesaggio dell’arte, ma anche le costruzioni grammaticali e concettuali delle sue pratiche.

Alcuni pensano che non possa esserci un artista senza un patrono che lo emancipi e che quindi questa relazione renda possibile il lavoro intellettuale. Altri ritengono che l’arte possa sostenere se stessa, non considerando, però, che l’intera popolazione dell’arte nutre una parte importante del sistema economico, pagando la sua rata.

È un ecosistema complesso, sempre presente nel fuoricampo delle nostre pratiche di artisti, critici, curatori, galleristi, collezionisti, istituzioni. E in quanto fuoricampo - che si situa al di là della cornice, del muro, dello spazio urbano, dell’istituzione - deve essere assimilato coscienziosamente.

Quello che Deleuze e Guattari affermano nella citazione iniziale tratta da Che cos’è la filosofia? sembra un grosso compito per quello che oggi produce la nostra arte e il nostro pensiero accademico. L’intrusione dell’economicismo in tutte le sfere umane, l’ideologismo marxista che ha messo a repentaglio la visione del mondo di sinistra, la scienza, la tecnologia e lo stato in quanto servizi, con dei proprietari limpidi come l’acqua, hanno instaurato un piano dal quale è difficile sfuggire: la crisi sociale e quella politica, economica, ecologica e della visione del mondo sono una produzione del Capitalismo.

Proponiamo l’Arte, nel contesto di arte magia e capitalismo, come caso studio per analizzare la storia del suo divenire fino ad oggi - che è stata risucchiata dal mercato, dall’ideologia dell’economicismo, dai suoi communiqués (parole d’ordine3)- e iniziare a chiedersi che cosa non va nella creazione, nella resistenza.4

Abbiamo fantasticato tutti sulla resistenza. Come retorica, è incorporata nelle ultime tendenze di arte e politica e nella loro merce. Ma la resistenza non è una figura retorica, non è un prodotto né uno slogan, ha un valore ontologico, ha la forma dell’esistenza. Resistiamo alla gravità, resistiamo alle intemperie, resistiamo alla fame, resistiamo creando piattaforme per divenire, per cambiare natura, per riadattarci continuamente al reale, per comporre e ricomporre i nostri corpi per resistere alla morte, e invece abbiamo asfaltato la strada verso la stasi.

Probabilmente la gestione degli strumenti concettuali e percettivi, della tecnologia, delle molte forme di conoscenza, di moneta, di affetti, ha a che fare con un’economia di mezzi di sopravvivenza, necessari per vivere la vita al massimo del suo potenziale e in amicizia, ma il termine « economia » è stato dirottato dalle pulsioni invasive dell’economicismo per significare tutt’altro.

Come fuggire da queste pulsioni? Come restituire al corpo la sua naturale produzione di sovrappiù in modo non capitalistico? Tutto in natura produce un eccesso, come condividerlo? Come salvare l’economia dall’economicismo? Come cambiare la nostra concezione del sistema delle cose che ci governa? che ci condanna? Come recuperare la nozione originale di mercato come forma di mutuo soccorso? Come riconfigurare le nostre istituzioni per favorire, alimentare e proteggere la creazione e i suoi correlati?

Vorremmo aprire la discussione con due considerazioni. Una ha a che fare con il concetto di Boris Arvatov di cultura materiale,5 che richiede l’eliminazione di quella rottura tra Cose e persone che caratterizza alla società borghese. E l’altra è un’attenta considerazione della creazione e del lavoro intellettuale come qualcosa che implica intimità e solitudine – l’unico lavoro è al chiaro di luna ed è clandestino (Deleuze) – il lavoratore che opera nel contesto del sacro, della natura, del cosmo.

Da un lato, una coscienza sociale che percepisce l’intero mondo delle cose in quanto forma materiale che crea la base della cultura, consapevole dei processi di produzione, di consumo e di distribuzione delle cose che creiamo e attraverso cui ci relazioniamo. Dall’altro lato, una percezione della creazione come qualcosa realizzato in solitudine, qualcosa di non strutturato che si occupa del cosmo e che consecutivamente entra in diverse mediazioni sociali per essere condiviso, per provocare dei divenire.

Crediamo sia in questa convergenza tra il lavoro sacro dell’individuo e la società, che l’economicismo si introietti e si propaghi, codificando e assegnando valore di scambio a processi, individui e cose e, di conseguenza, metta in circolazione il valore non in quanto eccesso condiviso che sussiste alla creazione,6 ma in quanto mera redditizia astrazione.

Il saggio di Arvatov, che avanzava una critica contro l’ideologismo marxista e proponeva un’analisi molto lucida del sistema borghese degli oggetti, proclamava una nuova amicizia tra l’uomo e le cose che richiedeva un’immersione totale (della terra e dei popoli a venire) all’interno dei processi di produzione, consumo e distribuzione. Nella produzione di concetti di Deleuze e Guattari, questi processi, nella relazione tra uomo e natura, sono legati al flusso del desiderio come una sola entità. José Regalado, un indigeno messicano che paradossalmente è anche un agronomo, afferma che la materia, una volta trasformata, implica la condivisione. Queste parole non sono forse intrise di desiderio? Di amicizia? Di compagnerismo? Queste parole non sono forse primordiali?

In arte magia e capitalismo vorremmo tracciare una distanza dal regno creato dall’economia per avvicinarsi a una più ampia comprensione delle nostre relazioni con gli oggetti; oppure iniziare a scendere di quota per atterrare su un terreno vivo che possa permetterci di riappropriarci del capitale del lavoro e di immaginare nuovi orizzonti, nuovi oggetti, nuovi comportamenti, nuove economie, nuovi ecosistemi, nuove linee di volo. Questi due termini, Arte e Capitalismo, innescano una miriade di domande che richiedono risposte. Sebbene abbiamo alcune certezze, o meglio, intuizioni, non abbiamo formulato risposte.

Una certezza che abbiamo è che la creazione non corrisponda all’apparato che gestisce e regola l’arte (Jean-Luc Moulène afferma che « cultura fotte arte »!). L’arte realizza se stessa a prescindere dal sistema culturale, e la preparazione di un piano per la produzione di una terra e di un popolo a venire come correlati della creazione e questo implica uno sforzo epico per analizzare l’attuale sistema economico che ha relegato le persone a esistere soltanto attraverso la sfera del consumo,7 e un ulteriore sforzo per la creazione di nuovi concetti, nuove percezioni, per nuovi divenire.

Quindi, ciò che ci interessa ascoltare durante queste conversazioni, oltre alle domande che abbiamo già formulato, riguarda lo stato dell’opera d’arte (l’aspetto intellettuale della pratica artistica) inteso come qualcosa di intimo, di clandestino, realizzato in solitudine, ma che successivamente entra in diverse mediazioni per essere condiviso. Domanda che probabilmente potrebbe essere formulata in questo modo: che cos’è un artista? Che cosa fa un artista? Qual è il suo campo di lavoro? L’artista di oggi è soltanto un attore economico e il manager culturale, un broker? Che cosa è successo alla creazione? Sussiste ancora nell’arte? Se sì, che cosa resta quando entra nel mercato? Che cosa rimane dopo questo passaggio dalla solitudine alla ricezione, se passa ancora qualcosa?

Crediamo sia in questa convergenza tra il lavoro sacro dell’individuo e la società, che l’economicismo si introietti e si propaghi, codificando e assegnando valore di scambio a processi, individui e cose, e di conseguenza, metta in circolazione il valore non in quanto eccesso condiviso che sussiste alla creazione, ma in quanto mera redditizia astrazione.

Traduzione: Viola Cateni


  1. Gilles Deleuze, Félix Guattari. Che cos’è la filosofia? 

  2. Courbet aveva un chiaro orientamento a sinistra comprensibile dalla sua partecipazione alla Comune di Parigi o la sua amicizia con l’anarchico francese Pierre-Joseph Proudhon. 

  3. « Vedete bene che avere un’idea, in ogni caso, non è qualcosa dell’ordine della comunicazione. Ed è qui che volevo arrivare, perché ciò riguarda delle domande che mi sono state gentilmente poste. Vorrei spiegare fino a che punto ciò di cui stiamo parlando sia irriducibile ad ogni forma di comunicazione. Niente di grave, ma cosa vuol dire? A me sembra che si potrebbe dire, in prima istanza, che la comunicazione sia trasmissione e propagazione di un’informazione. Ora, che cos’è un informazione? Non è così complicato, tutti lo sanno: un’informazione è un insieme di parole d’ordine. Quando vi si informa, vi si dice ciò che si suppone dobbiate credere. In altre parole, informare è far circolare una parola d’ordine. Le dichiarazioni della polizia, non a caso, sono detti « comunicati ». Ci viene comunicata un’informazione: vale a dire che ci viene detto ciò che si suppone noi si debba credere, ciò che siamo tenuti a credere. Magari nemmeno a credere, ma di fare come se ci si credesse; non ci viene chiesto di credere: ci viene chiesto di comportarci come se ci credessimo. Questa è l’informazione, la comunicazione e, al di fuori di queste parole d’ordine, della trasmissione di queste parole d’ordine non c’è comunicazione, non c’è informazione. La logica conclusione è che l’informazione è esattamente il sistema di controllo. È vero, sto dicendo delle banalità, se non fosse per il fatto che tutto ciò oggi ci riguarda in modo particolare…
    …Beh, perché l’informazione è - supponendo che l’informazione sia esattamente questo - è il sistema di controllo delle parole d’ordine, delle parole d’ordine che hanno corso in una determinata società « . Gilles Deleuze. Che cos’è l’atto di creazione? 

  4. « Qual è il rapporto tra l’opera d’arte e la comunicazione? Nessuno, nessuno. L’opera d’arte non è uno strumento di comunicazione. L’opera d’arte non ha nulla che fare con la comunicazione. L’opera d’arte non contiene, a rigor di termini la minima informazione. In compenso… in compenso c’è un’affinità fondamentale tra l’opera d’arte e l’atto di resistenza. Allora lì sì, che ha qualcosa a che fare con l’informazione e con la comunicazione, a titolo di atto di resistenza. Ma qual è il rapporto misterioso che intercorre tra un’opera d’arte è un atto di resistenza? Dal momento in cui gli uomini che resistono non hanno né il tempo né talvolta la cultura necessari per avere alcun rapporto con l’arte… non so. Malraux sviluppa un buon concetto filosofico. Malraux dice una cosa molto semplice sull’arte; dice: « È la sola cosa che resiste alla morte ». Torniamo al mio discorso di poco fa, all’inizio, su cosa significhi fare della filosofia; in filosofia si inventano concetti. E io trovo che quella sia la base di un buon concetto filosofico. Riflettete. Cos’è che resiste alla morte? Senza dubbio è sufficiente osservare una statuetta vecchia di tremila anni per rendersi conto che la risposta di Malraux è una risposta piuttosto buona. Allora potremmo dire, un po’ meno bene ma dal nostro punto di vista, che l’arte è ciò che resiste; forse non è la sola cosa a resistere ma è ciò che resiste. Di qui, il rapporto così stretto tra l’atto di resistenza e l’opera d’arte. Nessun atto di resistenza è un’opera d’arte, benché lo sia in un certo qual modo. Nessuna opera d’arte è un atto di resistenza, benché in un certo qual modo lo sia. » Gilles Deleuze. Che cos’è l’atto di creazione? 

  5. « La cultura materiale di una società è il sistema universale delle Cose, ovvero le forme materiali socialmente utili create dall’umanità attraverso la trasformazione delle cosiddette forme naturali. La cultura materiale è sia produzione che consumo di valori materiali. Dal punto di vista della cultura materiale, qualsiasi macchina rappresenta sia una forma tecnica, produttiva che una forma di consumo quotidiana. La tecnologia nel suo insieme è sia lo strumento che l’ambiente del lavoro sociale, la sua condizione formale quotidiana. » Boris Arvatov. Everyday Life and the Culture of the Thing. 

  6. « A mio avviso … la prima essenza della creatività … è il processo creativo della condivisione … ciò che mi interessa veramente è l’esperienza condivisa della vita… e come esprimerla in qualche modo … e l’enorme quantità di lavoro che abbiamo fatto come band (Crass) è stato semplicemente un tentativo di condividere la nostra vita… » Penny Rimbaud. 

  7. La proprietà privata degli strumenti e dei mezzi di produzione ha dato origine a byt privati e domestici. Ha portato, tuttavia, non solo alla determinazione di una differenziazione di classe, ma anche ad un isolamento massimo del sistema di produzione in quanto sistema macchina-collettivo, dal sistema di consumo in quanto sistema di appropriazione individuale. In mezzo si trova l’area di distribuzione, il 90 percento della quale ha funzionato come un mercato organizzato spontaneamente. Di conseguenza, sia il mondo delle cose che il mondo delle persone sono stati isolati e differenziati. (Arvatov)