Giacomo Donati
(Premessa Il progetto di ricerca presentato in occasione dell’evento « Coordinate N.2. Lo sguardo dal di fuori. Mind Fellowships » rielabora alcuni risultati del simposio “Lo stato generale degli stati non ordinari di coscienza” e pone come elementi di studio i 321 disegni realizzati durante il laboratorio di Jacopo Natoli da Katia Anguelova, Riccardo Arena, Luna Bayard, Eleonora Boccherini, Viola Cateni, Grazia Cantoni, Giacomo Donati, Simone Esposito, Francesco Fonassi, Adelaide Gnecchi Ruscone, Alessandra Meli, Maria Pecchioli, Silvia Serenari, Sasha Rosi, Iacopo Seri, Colin St. Mary, Alessandro Trotta, Cesare Pietroiusti, Andrea Wiarda e Raffaele Vanni.
Attraverso una metodologia sinestetica associativa di suono, testo e immagine è stata esposta una ricerca ipertestuale che esplora argomenti distinti come gli stati alterati della coscienza, la psichedelia, l’allucinazione, la spiritualità e molto altro.
L’intento è quello di proporre uno studio non convenzionale che consulta testi e fonti eterogenee: articoli scientifici, testi pseudoscientifici, scritti storici ed esoterici etc… utilizzando l’apofenia[^ 1] e la sinestesia come metodi associativi; un approccio che permette di connettere informazioni e favorire potenziali intuizioni, rendendo visibili nuove strade e interpretazioni attraverso il « pattern recognition ». La sinestesia, in questo senso, non è stata solo un metodo ma una struttura di progettazione multisensoriale, che ha permesso una percezione più immersiva e uno svolgimento pratico dell’idea progettuale.
Attraverso una mappatura non lineare o gerarchica degli elementi di ricerca, sono state stabilite nuove connessioni e significati, agevolando così il fattore di serendipità: si avvale del caso e dell’intuizione. Questo approccio ha evidenziato la connessione tra concetti o idee apparentemente non correlati, suggerendo nuovi input e unendo diverse visioni disciplinari. In questo contesto, il lavoro presentato non solo contribuisce alla comprensione di tematiche complesse ma anche all’esplorazione di nuove modalità di pensiero e percezione, valorizzando la multidisciplinarità e l’interconnessione tra diverse aree del sapere.)
Secondo il botanico russo Kliment Timiryazev le piante sono l’anello che lega il sole alla terra. Grazie alla fotosintesi trasformano l’energia del sole nell’energia chimica che permette agli animali di vivere e moltiplicarsi. Sono alla base della catena alimentare. La fotosintesi produce quegli elementi indispensabili a quasi ogni forma di vita: attraverso acqua, luce e anidride carbonica producono zuccheri e ossigeno.[^ 2]
Noi dipendiamo dalle piante.
Persino l’energia fossile derivata da petrolio e carbone è ricavata principalmente dai fossili delle piante; praticamente tutta la nostra medicina è ottenuta da molecole prodotte dalle piante o sintetizzate dall’uomo copiando la chimica vegetale. Recenti studi hanno messo in relazione la presenza delle piante con la diminuzione dello stress, l’aumento dell’attenzione, la maggiore rapidità di guarigione dalle malattie.
La similarità strutturale tra internet e un qualsiasi apparato radicale è sostanziale: un sistema completamente decentralizzato, formato da un ampio numero di nodi identici e ripetuti, una struttura modulare senza organi specializzati, proprio come una pianta. Singoli moduli che si ripetono infinite volte a formare strutture sempre più vaste e complesse, ma che non hanno alcun centro fondamentale. Un apparato radicale comprende un vastissimo numero di apici radicali - possono essere centinaia di miliardi in un albero - che, estendendosi nel terreno e esplorandolo alla ricerca dei nutrienti e dell’acqua indispensabili per la pianta, creano una rete così intricata da confrontarsi con la complessità strutturale delle reti neurali umane. In un apparato radicale le funzioni sono diffuse dappertutto, mentre nel nostro cervello, estremamente più fragile, a ogni parte compete una funzione diversa, questo lo rende soggetto a danneggiamenti che metterebbero in crisi l’intero sistema.
Questo è il motivo per cui le piante possono tranquillamente sopravvivere a estesi danneggiamenti che interessino la maggioranza dell’intera rete radicale. Il modello diffuso delle piante, composto da moduli reiterati, è opposto a quello animale, un modello centralizzato che non può prescindere da un sistema organizzativo gerarchico.[^ 3]
Ci riferiamo comunemente a noi stessi come a degli «individui»: il termine viene dal latino ed è composto da in (in forma di negazione) e dividuus (divisibile). Il nostro corpo, infatti, è indivisibile: se veniamo tagliati a metà, le due metà non possono vivere autonomamente, ma muoiono. Se invece tagliamo a metà una pianta, le due parti possono continuare a vivere in maniera indipendente. Il motivo è molto semplice: una pianta non è un individuo. Il modo più corretto di pensare a un albero, a un cactus o a un cespuglio, effettivamente, non è quello di paragonarlo a un uomo o a un qualsiasi altro animale, ma di immaginarlo come una colonia.[^ 4]
Le piante sacre
Il termine « Psichedelico » deriva dal greco psyche, (anima o psiche) e delos (manifestare), si può intendere come “rivelatore delle qualità psichiche”. Questo termine è stato coniato nel 1957 e fa riferimento al così detto all’allargamento della coscienza di cui si fa esperienza quando si assumono sostanze psicotrope.
È stata pensata in sostituzione della parola allucinogeno, che descrive soltanto uno dei numerosi effetti provocati da queste sostanze. Tra gli altri nomi utilizzati quando ci si riferisce agli psichedelici, possiamo trovare anche queste parole: « Psicolitici » (allentamento dei confini dell’ego), « Misticomimetici » (invocazione di esperienze mistiche), « Psicomimetici » (invocazione di esperienze simili alla psicosi), « Lucidogeni » (dalla parola « lucidità »), o « sostanze che inducono stati alterati di coscienza ».
C’è un altro termine degno di nota che ha a che fare con l’uso religioso degli psichedelici, ovvero « Enteogeno », deriva dalle parole greche entheos (“dio dentro”) e genesthe (“generare”), traducibile con “ciò che genera dio all’interno”. Il termine è ancora in uso poiché sia nel passato che oggi l’uso degli psichedelici svolge un ruolo importante in molte tradizioni religiose e culture sciamaniche.[^ 5]
La demonizzazione delle pratiche sciamaniche in occidente, e la conseguente demonizzazione delle sostanze psicotrope, ha portato alla scomparsa di una conoscenza millenaria legata alla natura, all’uso delle piante, alle cure del corpo e l’ancestrale rapporto con le piante che curano lo spirito: le piante sacre.
L’ayahuasca
Tradizionalmente, l’ayahuasca è utilizzata dai curanderos (guaritori e sciamani) per contattare gli spiriti, per guarire, per ricevere consigli su questioni importanti per la tribù, etc.
Gli effetti dell’ayahuasca e di altre droghe psichedeliche sono determinati non solo dai loro composti chimici ma anche dalle circostanze in cui vengono utilizzate. Il set e il setting di chi fa uso di ayahuasca sono fattori cruciali per l’intera esperienza. I contesti possono essere di vario genere, da quello sciamanico, religioso o terapeutico; l’uso ricreativo è tipicamente escluso proprio per via del forte impatto che questa potente sostanza ha sulla psiche e sul corpo: tra gli Asháninka, un gruppo indigeno del Perù e del Brasile, l’ayahuasca viene chiamata kamarámpi, che significa “medicina per vomitare”.
Durante la cerimonia de “La Purga” il soggetto che ha assunto ayahuasca proverà tremolio, sudorazione e vomito con lo scopo di lasciar andare e ripulirsi da sentimenti, stati d’animo, condizioni negative e non desiderate. Il contesto spirituale porta a vedere i “bad trip” come esperienze benefiche. Agendo sia a livello fisico che psicologico, l’ayahuasca è concepita come una medicina per lo spirito e per il corpo. Le culture che ne fanno uso partecipano alle cerimonie principalmente per ottenere conoscenza e purificazione:
«Il principale enigma, nel quale mi imbattei durante la mia ricerca sull’ecologia asháninka, fu quello riguardante il fatto che questo popolo, estremamente pratico e schietto, che viveva in maniera pressoché autonoma nella foresta amazzonica, insisteva nel dire che la propria conoscenza botanica approfondita derivava dalle allucinazioni indotte dalle piante. Come poteva essere vero? […] Si tratta di persone che non possiedono un microscopio elettronico e che scelgono, tra circa 80.000 specie di piante amazzoniche, foglie di un cespuglio che contiene un ormone cerebrale allucinogeno, che poi combinano con una pianta rampicante, le cui sostanze inattivano un enzima del tratto digestivo, che altrimenti bloccherebbe l’effetto allucinogeno. E lo fanno per modificare la propria coscienza. È come se fossero a conoscenza delle proprietà molecolari delle piante e dell’arte di combinarle; quando si chiede loro come fanno a conoscere queste cose, rispondono che la loro conoscenza proviene direttamente dalle piante allucinogene.» [^ 6]
Santo Daime, Barquinha e União de Vegetal (Unione del Vegetale) sono religioni sincretiche nate tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta che uniscono la spiritualità dei popoli della Foresta Amazzonica (spiritismo, animismo, sciamanesimo) con le credenze cristiane.
L’uso di ayahuasca è fondamentale per le loro cerimonie. Santo Daime non ha una dottrina ufficiale né testi, eccetto per gli hinários (libri degli inni). Questi inni sono il nucleo delle credenze del Santo Daime, infatti viene definita una dottrina musicale. La comunità viene a conoscenza degli inni attraverso il maestro della chiesa, che li riceve direttamente dal potere divino durante le sue visioni. Gli inni sono così importanti che a volte vengono chiamati il Terzo Testamento; hanno un doppio significato: il primo è testuale e aperto al pubblico, ma l’altro sacro significato si rivela solo dopo aver bevuto il daime[^ 7], la bevanda sacra che prevede gli stessi ingredienti dell’ayahuasca (la liana Banisteriopsis caapi e le foglie dell’arbusto Psychotria viridis).
La preparazione stessa del Daime è il principale rituale di iniziazione. Durante la cerimonia, gli uomini si occupano di cercare la liana nel bosco e ne svolgono il raspamento e la battitura; le donne devono procurarsi le foglie e hanno il compito di pulirle; in fine si esegue la cottura e la depurazione del Santo Daime. Si tratta di un intenso lavoro fisico, mentale e spirituale, in cui, per tutta la durata, viene consumata la bevanda sacra.
Donne sciamane
Nelle società di cacciatori-raccoglitori le donne sono state millenarie conoscitrici delle piante, erboriste, guaritrici, datrici di vita e di morte; un insieme di pratiche e di saperi che caratterizzavano il ruolo sociale o il mestiere della sciamana.[^ 8]
Le più antiche dee e sacerdotesse erano quasi sempre collegate a piante visionarie e bevande sacre che donavano conoscenza e immortalità. Plutarco racconta che a Delfi, la sacerdotessa del dio Apollo, ovvero la Pizia, pronunciava le sue profezie in uno stato alterato dovuto all’intossicazione da vapori nauseabondi che si alzavano dalle fessure nel pavimento del tempio. Alcune teorie vogliono ricondurre questi vapori a fumi vulcanici o fumi di piante bruciate. Il dibattito è ancora aperto: lo studioso A. P. Oppe condusse una ricerca approfondita nel tempio e affermò che non vi erano alcun genere di fessure sul pavimento; Pierre Amandry comprovò che l’area geografica del tempio di Delfi era vulcanicamente inattiva da molto tempo e che quindi non sarebbe stata in grado di emettere gas tossici.[^ 9]
Il papavero da oppio era associato alle dee egiziane Hathor, Iside, e la regina Nefertiti, insieme a piante come la mandragora e la ninfea. Demetra sembrava usarlo per lenire il dolore della perdita della figlia Persefone. Nei Misteri Eleusini, svolti ogni anno in onore di Demetra e Persefone, gli iniziati bevevano la sacra e segreta bevanda del Kikeon. Wasson, Hoffmann e Ruck ipotizzano che si trattasse di ergot, un fungo parassita dei cereali, che possiede un principio attivo simile a quello dell’LSD. Secondo Samorini si trattava di un complesso farmacologico composto da menta, papavero da oppio, insieme ad altre piante e tipi di funghi, come testimonia il bassorilievo di Farsalo.[^ 10]
Un interessante – è l’unguento del volo usato dalle streghe. Nel XV secolo Alfonso Tostado, teologo spagnolo, fornì delle ricerche articolate e esaustive su questo tema:
«Ci sono delle donne, quelle che noi chiamiamo streghe, che spergiurano di potersi recare in qualsivoglia luogo … una volta cosparse con uno speciale unguento … E là si permettono ogni sorta di piacere.»[^ 11]
Tostado, così come altri assertori che assisterono personalmente all’unzione delle streghe, afferma che la strega rimaneva nello stesso luogo in cui si era unta, cadendo in uno stato di incoscienza seguito da un sonno profondo, una volta svegliata, la strega avrebbe raccontato di aver percorso spazi inimmaginabili.
I documenti inquisitoriali e giuridici, nel descrivere le ricette, si soffermano ampiamente su ingredienti grotteschi (grasso di bambino non battezzato, vipere, pipistrelli…) e accennano solo di sfuggita ad indefinite “erbe delle streghe”.
Paracelso, dai suoi studi su streghe erboriste, ostetriche e cerusici, ipotizzò un composto che prevedeva l’uso di sugna, resina e fiori di canapa, rosolaccio e semi di girasole. Altri ingredienti che vengono elencati nelle ricerche sono le bacche di belladonna, contenenti atropina; l’aconito, pianta estremamente velenosa contenente aconitina; piante farmaceutiche come la mandragora, lo stramonio, il giusquiamo, che in relazione al dosaggio possono provocare allucinazioni, deliri, alterazioni sensoriali, etc.
In un contesto di diffusa povertà, scarsa igiene e squilibri alimentari, molti degli ingredienti della pomata avevano funzione cicatrizzante, sedativa, antiflogistica ed antibatterica, questo composto “miracoloso quindi non solo leniva i dolori e curava i mali, ma in aggiunta provocava “sogni dilettevoli” ed esperienze estatiche. Secondo delle ipotesi basate sulle confessioni sotto tortura delle streghe, la scopa o il bastone utilizzato dalla strega per “volare al Sabba”, veniva cosparso di unguento durante le cerimonie e poi usato per spalmare l’atropina nell’epitelio vaginale, una mucosa estremamente sensibile e vascolarizzata che avrebbe accelerato la circolazione delle sostanze nel corpo.[^ 12]
Come precedentemente detto, la pratica sciamanica è stata competenza femminile prima ancora che maschile, nel suo libro Morena Luciani sembra trovare una spiegazione proprio nel rapporto con le piante:
«Il ciclo mestruale mensile predispone la donna a un ampliamento costante della percezione ordinaria delle cose, e sotto questa luce il parto può essere considerato un momento di vetta di questo ampliamento. I miei studi mi portano quindi a affermare che le donne hanno utilizzato la saggezza vegetale in prima istanza per facilitare l’apertura psico-biologica e spirituale alle esperienze di mestruazione e parto e, in seconda istanza, per imparare a veicolare le facoltà sciamaniche di guarigione e divinazione.»[^ 13]
L’antropologa Maria Antonina Czaplicka nel suo testo sullo sciamanismo siberiano fa notare che spesso le donne non indossano abiti particolari per officiare rituali di guarigione, mentre successivamente gli uomini che assumono lo status di sciamano indossano abiti femminili; in queste culture, l’uomo deve affrontare dei riti di iniziazione per diventare sciamano, mentre per le donne non è necessario, come se la donna fosse sciamana per natura:
«[…] il parto e la nascita sono essi stessi una forma di atto sciamanico. La donna non solo convoca gli spiriti, ma li genera all’interno di sé stessa. Lo strumento di stregoneria è il suo utero. […] Qui giace il sacro mistero della creazione con cui gli sciamani cercano di entrare in contatto.»[^ 14]
L’esoterismo
La parola “esoterismo” deriva dal greco esôteros, che significa “interiore”, cioè nascosto, segreto. Quando si parla di esoterismo si fa riferimento a quella dottrina superiore ad ogni altra conoscenza, che deve restare «velata» come il velo di Iside, accessibile solo agli iniziati. Antoine Faivre, storico dell’esoterismo francese, aveva individuato quattro principi fondamentali ricorrenti che contraddistinguevano le dottrine esoteriche:
«[…] a) una teoria delle corrispondenze che esisterebbero tra tutte le parti dell’Universo visibile e invisibile: corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo, fra mondo visibile e invisibile, e anche fra parti del mondo visibile (per es., fra i pianeti e il corpo umano); b) l’idea della natura come essere vivente, che recentemente ha affascinato la New Age, ma che ha una lunga tradizione in tutta una filosofia della natura di tipo esoterico; c) l’importanza attribuita all’immaginazione, e alle mediazioni di esseri preternaturali come angeli e spiriti: ‘magia’ e ‘immaginazione’ hanno la stessa radice etimologica e l’esoterismo si muove in quello che H. Corbin (1903-1978) ha chiamato mundus imaginalis[^ 15]; d) la teoria e l’esperienza della trasmutazione, secondo cui l’uomo può trasformarsi in qualche cosa di superiore e di diverso. […]»[^ 16]
La ricongiunzione tra Universo visibile e Universo invisibile e il conseguente svelamento della verità che si cela dietro l’ordine armonico del cosmo avevano a che fare con le esperienze estatiche perseguite durante i riti e le cerimonie esoteriche, l’estasi permetteva di superare i limiti cognitivi e sensibili umani e fare esperienza di “essere fuori da sé”, un momento rivelatorio che veniva spesso raggiunto attraverso l’uso di piante enteogene, che spesso inducono senso di ineffabilità, l’indescrivibilità, la percezione dilatata dello spazio e del tempo, la dissoluzione dell’ego, percezioni multisensoriali, etc.
Lo sconfinamento dei sensi, ovvero la sinestesia, sarebbe in questa ottica la percezione simultanea di una realtà che va oltre i limiti corporei e permette l’accesso a una dimensione altra.
La sinestesia come ékphrasis
In campo artistico, la volontà di trasporre l’immagine in suono e viceversa ha a che vedere col concetto di ékphrasis: una figura retorica che indica l’associarsi di forme d’arte diverse, nel tentativo di trasporre l’essenza di un’opera d’arte in un linguaggio che non sia quello originario (il più celebre esempio in letteratura è il passo dello scudo di Achille, contenuto nell’Iliade di Omero). Un atto che rivela particolari normalmente invisibili dell’opera, amplificando l’esperienza estetica del fruitore.
La trasposizione ekfrastica può quindi generare a sua volta un oggetto con un valore estetico intrinseco, adattato alle caratteristiche del linguaggio che gli è proprio, ponendosi come un alter ego dell’opera alla quale si ispira e portatore del suo stesso significato, ma che si presenta come un’opera indipendente.
Nella storia occidentale sono noti vari esempi di ricerche scientifiche che indagano un rapporto sistematico e programmatico di corrispondenze tra colore e suono, facendo ricondurre entrambi i fenomeni (quello acustico e quello sonoro) a fenomeni ondulatori: Newton teorizza l’esistenza di ben sette colori primari all’interno dello spettro cromatico, i quali corrispondevano ai sette intervalli (ovvero toni e semitoni) di una scala musicale.[^ 17]
Il clavicembalo oculare
Il padre gesuita e matematico francese Louis-Bertrand Castel ebbe la stessa necessità di associare i due canali sensoriali e razionalizzarne il rapporto tramite studi matematici all’interno di un suo trattato sull’ottica[^ 18]; Goethe spese molte parole a favore delle sue teorie, risaltando la competenza del padre gesuita, ma nonostante ciò non comprese gli sforzi da lui compiuti per costruire il cosiddetto clavecin oculaire, uno strumento che se suonato avrebbe dovuto emettere contemporaneamente sia note (della scala diatonica) che colori, portando a compimento il desiderio di unire sfere sensoriali diverse. Il gesuita descrisse così la genesi dello strumento:
«Che cosa, nel regno dell’arte, si può immaginare di più curioso che di rendere visibile il suono, e di rendere gli occhi confidenti di tutti i piaceri che la Musica può dare alle orecchie? […] Due anni or sono leggevo la Misurgia[^ 19] (di padre Athanasius Kircher): ad un certo punto ho scoperto che, se durante un bel concerto potessimo vedere l’aria agitata dai fremiti che le voci e gli strumenti eccitano in essa, saremmo stupiti di vederla seminare all’intorno i colori più vivi, e meglio assortiti.[^ 20] […] La luce modificata fa i colori, il suono modificato fa i toni, i colori mescolati fanno la pittura, i toni mescolati formano la musica. […] Ecco i preliminari per giungere alla costruzione del mio clavicembalo oculare. […] Il principale vantaggio di questo nuovo clavicembalo è di dare ai colori non soltanto l’ordine armonico ma una certa vivacità e leggerezza, che su una tela immobile e inanimata non riescono mai a raggiungere. […] Questo clavicembalo è, oso dirlo, una grande scuola per i pittori, che potranno trovarvi tutti i segreti delle combinazioni dei colori… una musica muta»[^ 21]
Non è ben chiaro quale sia l’esatto funzionamento dello strumento, né è chiaro come si costruisca un meccanismo simile. Il gesuita infatti precisa di essere un filosofo e non un artigiano, pertanto, non è da trascurare la possibilità che la natura di questa idea sia semplicemente quella di dimostrare concettualmente le analogie tra colore e suono; da questo punto di vista il vero significato del clavecin oculaire non risiederebbe nella sua realizzazione, poiché rappresenterebbe un ideale utopico.
Nonostante ciò, esistono opinioni divergenti sul funzionamento di questo misterioso strumento, il quale secondo molte voci venne realmente costruito: Frank Popper sostiene che «i tasti azionavano le linguette per far vibrare le corde, ma facevano anche apparire strisce colorate trasparenti»[^ 22], dietro le quali venivano sistemate fonti di luce. La descrizione di Ruggero Pierantoni invece risulta più chiara e dettagliata: «Alla tastiera di un comune clavicembalo era connesso un meccanismo che faceva apparire e scomparire, al tocco dei tasti, una schiera di luci colorate. Uno schermo le celava e rivelava scorrendo davanti a una fila di candele schermate da vetri colorati». [^ 23]
Secondo l’interpretazione del pittore Luigi Veronesi, quando lo strumento veniva suonato si aprivano delle finestrelle, dalle quali, a seconda del tasto premuto, fuoriusciva una luce di un diverso colore, questo perché dietro ogni finestrella c’era un diaframma di carta colorata trasparente, attraverso il quale passava la luce di una candela.
Diderot fu un grande ammiratore di Castel e del clavecin oculaire, tanto che lo inserì nella Encyclopédie alla voce “clavicen” e ne parlò addirittura nel trattato Lettre sur les sourds et muets, descrivendo l’effetto dello strumento su un sordomuto; ipotizzò che il clavicembalo oculare avrebbe potuto aiutare i sordi nell’ascolto della musica mediante i colori.
Nel 1737 il clavicembalo oculare comparve in Italia nel Newtonianesimo per le dame di Francesco Algarotti, ma dubitava che lo strumento potesse esistere realmente, infatti, ne suggerisce ironicamente l’uso alle dame per indovinare il giusto accostamento dei colori per gli abiti.
Il compositore russo Aleksandr Skrjabin – che fra le altre cose fu membro della Società teosofica – nel poema sinfonico Prometeo. Il poema del fuoco, scritto nel 1910 e presentato nel 1915 al Carnegie Hall di New York, prevedeva nell’orchestra l’esecuzione di un clavier a lumière: ancora una volta si trattava di uno strumento a tasti, ognuno dei quali corrispondeva a una tonalità, capace di proiettare nello spazio fasci luminosi colorati.
Purtroppo, Skrjabin non fu in grado di vedere l’esecuzione di luci e colori nella sua opera poiché i limiti tecnici portavano solo a risultati poco soddisfacenti, come nel caso dei prototipi costruiti da Aleksander Mozer e Alexander Wallace Rimington. Nonostante ciò lo spiritualismo ricorrente nelle sue opere affascinò Kandinskij e altri artisti delle avanguardie.
Dev’essere da uno di questi esperimenti che Aldous Huxley prese spunto per l’organo a profumo e a colori che descrisse nel suo visionario romanzo distopico, Il mondo nuovo:
«L’aria sembrava calda e quasi irrespirabile tant’era carica di profumo d’ambra grigia e di sandalo. Sul soffitto a volta della sala, l’organo a colori aveva momentaneamente dipinto un tramonto tropicale»[^ 24]
La sinestesia nell’800
Durante la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo, si assistette a un’intensa ricerca intorno alla sinestesia. Questo periodo segnò l’apice dell’interesse verso la cosiddetta audition colorée o coloured hearing, che divenne una sorta di tendenza diffusa non solo in ambito scientifico, ma anche nella poesia, nel teatro e nelle arti in generale. Professionisti di settori diversi, tra cui psicologi, musicisti, pittori, poeti e linguisti, si fecero contribuirono a ricerche sul tema.
I pittori cominciarono ad ambire la capacità della musica di incidere direttamente sulle emozioni (data dall’astrattezza intrinseca nella sua natura). La ricerca pittorica approdò verso l’esplorazione dell’emozione astratta, dell’interiorità e della comunicazione dell’indicibile[^ 25]. L’impalpabilità e l’invisibilità della musica significherà per molti artisti visivi la prima spinta per liberarsi del tutto dalla rappresentazione figurativa.
Richard Wagner ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborazione della teoria sinestetica con il Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, esposta nel saggio Oper und Drama[^ 26]. Si diffonde il desiderio di un’arte che coinvolga tutti sensi, nasce il bisogno di creare un linguaggio universale che fosse somma e suprema sintesi di tutte le arti.[^ 27]
Queste correnti di pensiero alimenteranno la ricerca di una reciprocità di rapporti tra musica, pittura, architettura e poesia. L’aspetto sinestetico dell’opera e della poetica di Wagner saranno importanti anche per il XX secolo, poiché farà da spinta per il colloquio fra le arti: la fusione di campi artistici diversi darà vita ad una estetica multimediale.
Charles Baudelaire affrontò il tema dei rapporti fra sfere sensoriali diverse con la poesia-manifesto del simbolismo, Correspondances – pubblicata nella prima parte dei Fiori del male nel 1857 – che esprimerà a pieno il bisogno di ricondurre le percezioni sensibili in una unicità:
«i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi».
Coerentemente alla tematica sinestetica, nel Salon de 1846 affermò che nel colore, proprio come in musica, troviamo l’armonia, la melodia e il contrappunto.
I Forma-pensieri
Thought-Forms di Annie Besant e Charles W. Leadbeater (1901), o Man visible and invisible (1902) dello stesso Leadbeater, entrambi tempestivamente tradotti in italiano, sono stati testi seminali per le ricerche aniconiche, sinestetiche e spirituali delle avanguardie nei primi anni del Novecento in Europa.
In Forme-pensiero di Besant e Leadbeater, gli autori e gli illustratori vogliono rendere visibili le forze spirituali emanate dall’uomo, facendo corrispondere ad ogni possibile condizione mentale delle forme e dei colori specifici; la pratica della chiaroveggenza è utilizzata per raffigurare le sostanze invisibili della dimensione non corporea e spirituale.
Annie Besant aveva affermato in un precedente articolo che esistono tre principi sui quali si basa la manifestazione delle forme-pensiero: la qualità del pensiero determina il colore, la natura del pensiero determina la forma, la chiarezza del pensiero determina la nitidezza dell’immagine.
Una forma-pensiero viene definita come una qualsiasi forma percepibile, che è stata creata direttamente ed esclusivamente dalla mente, inconsciamente o consapevolmente, e che in alcuni casi sviluppa autonomia.[^ 28] Besant e Leadbeater le descrivono come manifestazioni psichiche infettive, affermano che le vibrazioni del pensiero possono irradiare e colpire altri corpi mentali. Leadbeater spiega che le forme-pensiero e le vibrazioni costruite da argomenti mondani come l’algebra o la geometria sono confinate al piano mentale. Quelli creati dal pensiero spirituale e legati ai sentimenti di amore e disinteresse raggiungono un livello superiore e possono influenzare tutti i corpi mentali entro la loro portata. Secondo Leadbeater i suoni creano forme proprio come i pensieri, queste forme persistono e si espandono anche quando lo stimolo sonoro è finito, influenzando coloro che si trovano nelle vicinanze: ad esempio, riteneva che la musica militare potesse rafforzare i corpi astrali dei soldati.[^ 29]
In Forme-pensiero viene sostenuta la corrispondenza tra suoni e colori, vengono portate come esempio le figure di Chladni.[^ 30]
Più avanti nel testo una serie di tre illustrazioni traduce visivamente la musica di Felix Mendelssohn, Charles Gounod e Richard Wagner: sopra il tetto di una cattedrale sorgono delle complesse strutture astratte che corrispondo agli arrangiamenti e alle melodie dei compositori suonate dall’organo della chiesa. Secondo Leadbeater, un occhio anche leggermente chiaroveggente sarebbe stato in grado di percepire il colore generato dal suono.
Leadbeater scrive che una persona può costruire intenzionalmente una forma-pensiero e indirizzarla verso un’altra persona come mezzo di assistenza. In questo modo, esse sono utili a « servire l’umanità ».
Secondo la dottrina teosofica i pensieri e le emozioni sono vibrazioni analoghe a quelle elettromagnetiche, ma su di un livello superiore. Secondo questa visione, tutto, dall’atomo alle galassie, è riconducibile a delle vibrazioni. Ogni gamma vibratoria si manifesta attraverso simboli materializzati, che costituiscono la realtà percepita dai nostri sensi.
Le esperienze ottenute tramite meditazione, concentrazione, ma anche le esperienze psichedeliche, le allucinazioni patologiche e le sostanze psicotrope dimostrano l’esistenza nell’essere umano di una facoltà unitaria di percezione extrasensoriale, che a livello fisiologico si fraziona negli organi specializzati dei sensi. Per i teosofisti questo dimostra altresì l’esistenza di un mondo unitario animico-spirituale.
C’è da ricordare però che Helena Petrovna Blavatsky (1831–1891), fondatrice della dottrina teosofica si era fortemente contraria all’uso delle sostanze narcotiche o psicotrope a scopo spirituale.
La sinestesia e le “costanti di forma”
La sinestesia (dal greco: syn = insieme; Aisthànestai = percepire), è una condizione neurologica in cui le percezioni sensoriali si sovrappongono, conducendo ad un’esperienza non convenzionale. In questo fenomeno, la stimolazione di un senso primario (denominato fattore induttore) provoca la percezione aggiuntiva in un senso diverso, (chiamato fattore concomitante). Un esempio comune è la sinestesia uditivo-visiva, in cui la percezione uditiva (induttore) attiva una percezione visiva (concomitante).
Tuttavia, la sinestesia non si limita agli accoppiamenti tra sensi differenti (intermodalità), ma può verificarsi anche all’interno della stessa modalità sensoriale. Ad esempio, nella sinestesia grafema-colore, le lettere scritte possono essere associate automaticamente a colori specifici.
Studi neuroscientifici hanno rivelato che i sinestetici hanno una maggiore connettività tra aree cerebrali coinvolte nella percezione sensoriale, il che potrebbe spiegare la connessione delle percezioni sensoriali.[^ 31]
Sono stati identificati tre principali tipi di sinestesia più, il più comune di questi è la sinestesia genuina. Sembra svilupparsi alla nascita o nell’infanzia precoce, tende ad essere un fenomeno relativamente costante e sistematico poiché ogni induttore ha una concomitante altamente specifico.
Ad esempio, un sinesteta di cinque anni che percepisce il numero 3 come una particolare tonalità di verde, molto probabilmente continuerà a associare il 3 a quel colore per un periodo considerevole.
Il secondo tipo della condizione è la sinestesia acquisita. Questo tipo è stato segnalato emergere dopo un trauma cranico, ictus, convulsioni, emicrania, sostituzione sensoriale e neuropatologia che coinvolge il nervo ottico e/o il chiasma. Il terzo tipo, la sinestesia indotta è un tipo di sinestesia sperimentata temporaneamente durante gli effetti di sostanze psichedeliche (come la psilocibina, contenuta da alcuni tipi di funghi allucinogeni, l’acido lisergico dietilammide, che si trova nell’ergot, un fungo dei cereali, e la mescalina, che si trova naturalmente nel cactus chiamato peyote), che provocano uno stato di coscienza alterato accompagnato da: intensificazione dell’affettività; cambiamento nella percezione del tempo; intensificazione della percezione sensoriale, che include sinestesia, illusioni, pseudo-allucinazioni e allucinazioni; esperienze mistiche e spirituali come sensazioni di unità con il divino o l’universo; espansione della coscienza, maggiore consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante; il distaccamento dal proprio ego legato a un sentimento di morte e di rinascita.
Nella prima fase, l’intossicazione di solito induce fenomeni allucinatori come forme geometriche astratte riconducibili a fenomeni entoptici e le costanti di forma (« form constant”) teorizzate da Heinrich Klüver.
Con dosaggi più elevati o col progredire dell’intossicazione i fenomeni visivi si trasformano in forme più complesse e possono persino svilupparsi in scene coerenti.
Fino ad ora non sono stati condotti studi sistematici sulla sinestesia indotta da sostanze.
La sinestesia indotta da farmaci tende a verificarsi solo durante l’intossicazione, anche se occasionalmente può continuare a verificarsi per settimane o mesi dopo l’esposizione. È una condizione involontaria.
La “musica colorata” è il tipo di sinestesia indotta più comune. LSD e mescalina tendono a indurre una maggiore varietà di sinestesie rispetto alla psilocibina. è regolarmente riportato che LSD riporti sinestesie uditive-visive, musicali-visive, gustative-colorate, uditive-colorate e olfattive-musicali, mentre la mescalina spesso scatena sinestesie tattili-visive, uditive-visive, cinestetiche-visive e dolorose-colorate.
I soggetti esposti alla psilocibina tendono a riportare principalmente una forma di sinestesia udito-visiva. Questi studi suggeriscono fortemente che gli allucinogeni possono, e spesso lo fanno, indurre esperienze sinestetiche in soggetti non sinestetici così come nuove esperienze sinestetiche in soggetti con sinestesia genuina. La sinestesia indotta, a differenza di quella genuina non è dovuta da caratteristiche strutturali della connettività cerebrale, si pensa infatti che la sinestesia indotta da farmaci sia legata a cambiamenti funzionali nell’attività cerebrale.
In rari casi, i soggetti sviluppano il disturbo percettivo persistente indotto dagli allucinogeni (HPPD) dopo l’abuso di LSD. Una donna di 33 anni, che ha sviluppato HPPD dopo aver abusato di LSD per un anno all’età di 18 anni, ha riferito di sperimentare immagini successive, percezione del movimento nel campo visivo periferico, pattern sfocati, aloni, macropsia (oggetti che appaiono più grandi del normale) e micropsia (oggetti che appaiono più piccoli del normale). I flashback indotti dagli allucinogeni differiscono dalle esperienze sinestetiche per quanto riguarda il fatto che si verificano in assenza di un induttore. Sono generalmente considerati pseudo-allucinazioni perché i soggetti riconoscono la loro natura irreale.[^ 32]
Nel 1926, Heinrich Klüver studiò sistematicamente gli effetti della mescalina (peyote) sulle esperienze soggettive dei suoi utenti. Oltre a produrre allucinazioni caratterizzate da colori brillanti e « altamente saturati » e immagini vivide, Klüver notò che la mescalina produceva pattern geometrici ricorrenti in diversi utenti. Li chiamò « costanti formali » e li categorizzò in quattro tipi: reticoli (inclusi alveari, scacchiera e triangoli), ragnatele, tunnel e spirali.