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Juan Pablo Macías
15 luglio 2020

tremori d’aria: black weather forecast for sunny days

Robert Fludd, in De musica mundana, 1618.

«Crea una società in cui l’individuo deve pagare per l’aria che respira (contatori d’aria; reclusione e aria rarefatta, in caso di mancato pagamento). Asfissia semplice se necessario (tagliare l’aria) »
— Marcel Duchamp


La scoperta dell’aria, dell’atmosfera, dell’ambiente, dei tanti tipi di onde che la attraversano, gli agenti patogeni, sono alla base del mutamento epistemologico e dello sviluppo delle tecnologie e relazioni umane degli ultimi cento anni. Dall ’air design militare (nel 1915 è stato testimoniato il primo attacco a base di gas cloridrico) alle conseguenti campagne anti-parassitarie della neonata agroindustria, dalla scoperta della semiologia guidata dal positivismo e la psiche alla quarta dimensione, alle onde elettromagnetiche, il rapporto tra soggetto e oggetto, e quindi di un regime del visibile, viene spostato oltre i suoi confini verso tutto l’ambiente. La guerra abbandona il campo di battaglia per diventare guerra totale, e ha come nuovo obiettivo l’ambiente vitale del nuovo nemico civile. L’arte, fin da Duchamp, abbandona il campo della rappresentazione e la sua materialità (o cattura l’invisibile), mentre le immagini e i suoni fuggono dal loro supporto fisico volatilizzandosi attraverso onde, segnali, divenendo informazione, comunicazione, parole d’ordine, che quotidianamente, attraverso l’aria, danno forma alla psiche di massa.

Potremmo dire che questi cambiamenti comportano uno slittamento istituzionale, un passaggio nascosto, dall’istituzione sociale (pensata ma forse mai raggiunta) all’incoronamento spurio dell’istituzione politica (militare). I nostri saperi, le nostre scienze, la nostra filosofia, i nostri discorsi e le nostre creazioni, lavorano a sua insaputa, per un amo nascosto. Abbiamo assistito a un’usurpazione militare mascherata da guida civile.

L’autonomia implicita nella nozione del termine popolo, anch’essa sostituita dalla normatività che assoggetta il cittadino, è avvenuta attraverso un ordine conquistato dal cielo, lasciando un fetore militare ovunque, che respiriamo come se ci fosse sempre stato. E nonostante tutte le innovazioni tecnologiche e le parole d’ordine di questo fetore, al di là della sua pervasività, troviamo ancora l’aria fresca e pulita per inspirare ed espirare le nostre enunciazioni poetiche, la nostra emancipazione, percepiamo ancora il vento giusto per correggere la rotta e per distruggere, si spera, l’usurpazione della creazione e l’ostaggio dell’amministrazione comune.

Nell’invocare l’aria, il respiro, oltre e in discontinuità con l’approccio occidentale, significa ricordare il respiro cosmico -desiderio- come la sostanza vitale che tiene insieme amorevolmente i suoi due attributi/principi. Ricordare che la nostra voce, nata dall’aria, dà luogo alla parola poetica, che non esplicita nulla, ma che mitiga la maledizione primordiale della distanza, quella che separa al pensiero dall’estensione, l’astratto dal concreto. Richiamare l’aria, è liberare il linguaggio dalla sintassi: smilitarizzarlo (John Cage. Empty Words), per iniziare ad ascoltare e comprendere meglio, la spontaneità della vita.

La crisi pandemica che stiamo vivendo è il risultato di questa serie di spostamenti che danno forma nel cielo attraverso l’air design e, per questo motivo, sviluppare un programma online sul dominio digitale non è riaffermare una consuetudine e ciò che ci viene richiesto di fare per continuare il business dell’arte, a distanza, ma piuttosto mettere in discussione i contraccolpi della nostra conoscenza, del suo linguaggio, delle sue tecnologie e applicazioni, sperando di dare una migliore previsione del tempo per le future giornate di sole.


Traduzione: Vincenzo Estremo